Si è tenuta a Londra la prima tornata di aste dell’anno. Il mercato si conferma in continua espansione, e ancora una volta premia la qualità (e l’Italianità).
La sessione invernale di aste londinesi ha portato risultati molto positivi, e ha in particolare confermato alcune importanti tendenze del mercato che già da qualche tempo appaiono chiare agli osservatori e agli operatori specializzati. Il clima generale è di grande entusiasmo e crescita stabile.
Sono tre le caratteristiche principali, emerse soprattutto negli ultimi anni, a cui prestare attenzione:
Qualità. C’è stato un periodo, quello dei soldi facili in borsa, della liquidità e dei megabonus, in cui molto spesso il bene acquistato in asta o in galleria era il nome dell’artista, più che l’opera in sé. Al nome corrispondeva una garanzia, e in pochi (tra i nuovi arrivati del mercato) sapevano distinguere un pezzo buono da uno cattivo. Oggi, per quanto il nome sia ancora un forte fattore trainante, specialmente per artisti più giovani e “di moda”, l’attenzione si concentra molto di più su componenti dell’opera quali il periodo, lo stato di conservazione, la bibliografia, e in generale la qualità. Difficile dire se questo accada perché il pubblico che acquista (ormai spesso investitori più che collezionisti) sia realmente cresciuto da un punto di vista culturale, o perché sia aumentata l’influenza della consulenza di esperti e advisor. Probabilmente gran parte dei compratori non sanno ancora riconoscere la qualità – difficile immaginare un’evoluzione radicale in un campo così difficile e in un tempo così breve – ma hanno capito che selezionare è importante, e quindi ascoltano e si fanno consigliare da chi ha più esperienza.
Conferme di questo arrivano da lotti di tutte le aste, inclusa la vendita quasi interamente italiana “Eyes Wide Open” da Christie’s, dove si sono registrati prezzi altissimi per bei lavori di Burri, Pistoletto, Boetti, Kounellis e Fabro (ma altre opere degli stessi artisti sono andate invendute o sotto stima). L’asta serale di Sotheby’s ha visto, per esempio, un grande successo per lo splendido Cy Twombly Untitled (Rome) e per un potente Rosso Plastica di Aberto Burri, mentre sia Richter che Basquiat non hanno scatenato i rialzi che in molti si aspettavano.
Volatilità nel breve. Uno dei risultati dell’ingresso di grandi capitali nell’arte contemporanea è che spesso si creino delle storture di mercato simili a quelle della borsa, derivanti da polarizzazioni di attenzione più o meno pilotate verso artisti nuovissimi, o nomi che per anni avevano ricoperto ruoli minori e che improvvisamente si trovano sulla bocca di ogni gallerista e investitore à la page. Valorizzazioni spesso slegate dal ruolo storico e culturale dell’artista, ma dettate da meccanismi stagionali o speculativi. Fortunatamente questo non va, per ora, a incidere sul successo e sull’attenzione verso i veri maestri (giovani o vecchi), ma sicuramente è causa di distrazione e confusione, oltre che di sfiducia nei confronti di un mercato pronto a pompare artisti poco più che ventenni per un anno o due, per poi abbandonarli in favore di altri nuovi arrivi.
Si è parlato anche troppo del fenomeno Oscar Murillo, passato nel giro di mesi da poche decine a qualche centinaio di migliaia di dollari. A Londra si è confermato l’interesse nei suoi confronti, anche se apparentemente già intiepidito dopo il successo di New York, e forse eclissato da quello di Lucien Smith, classe 1989, presente in tutte e tre le aste serali con opere che hanno venduto a prezzi multipli della stima massima. Nei giorni precedenti alle vendite era facile sentire le giovani specialist delle case d’asta parlare di questo giovanissimo come “il nome del momento” e come quello che “ora ci piace molto”, quasi si fosse a una sfilata di moda o si stesse parlando dell’ultimo astro nascente delle calzature tacco 12. Ci si chiede invece delle sorti di chi prima sembrava un assoluto must, da Anselm Reyle a Raqib Shaw, fino, ancor più recentemente, a Jacob Kassay, ormai assenti o relegati alle più modeste Day Sale, le aste mattutine (“Perché, esistono anche aste mattutine?”, commentava sferzante un’influente dealer basata tra Londra e New York).
Interesse per l’Italia. La nota più positiva arriva, per una volta, dall’Italia, o meglio da quegli artisti che l’Italia rappresentano, soprattutto fuori confine, e che nel tempo sono riusciti non solo a lasciare un segno permanente nella storia dell’arte, ma a farsi rispettare e desiderare nelle più importanti piazze mondiali.
Parliamo non solo di Fontana, Burri, Manzoni e Castellani, che continuano a portare alto il tricolore in mostre importanti e in tutte le aste che si rispettino, ma anche di quegli artisti in costante crescita che continuano a ottenere risultati notevoli, come Boetti, Pistoletto, Pascali e Kounellis, trionfanti nell’asta “Eyes Wide Open” della collezione di Nerio e Marina Fossati, e di quelli che hanno avuto bisogno di più tempo per essere riconosciuti dal mercato internazionale ma che oggi ottengono riscontri degni della loro importanza storica, tra cui Francesco Lo Savio, Luciano Fabro, Giulio Paolini e Giuseppe Penone. Importante anche vedere come, in questo contesto, siano stati inclusi artisti pressoché inediti per il pubblico londinese, quali Emilio Prini e Vincenzo Agnetti, rappresentativi di un concettualismo rigoroso e difficile sotto molti punti di vista, ma anche poetico e affascinante per chi abbia la passione di approfondirne la conoscenza.
Ai successi in asta fanno coro anche alcune mostre in galleria: diversi dealer londinesi stanno dimostrando interesse a esporre importanti nomi italiani, in testa Gagosian che propone nel suo spazio di Davies Street una raffinatissima giustapposizione tra Concetto Spaziale, la fine di Dio di Lucio Fontana e HIM di Maurizio Cattelan (“La fine di Dio”, a cura di Francesco Bonami, fino al 5 aprile).
Piero Tomassoni