Tradizionalmente suddivisa in due principali orientamenti, quello più storicizzato e l’altro più attuale, Art Basel 2018 ha chiuso i battenti con ottimi risultati, pronta per l’appuntamento dicembrino di Miami. Che cosa offre e cosa cerca il mercato mondiale dell’arte? Farsi un’idea generale non è stato difficile camminando al pianterreno della hall 2.0, dove sono emersi, fra le proposte delle oltre 100 gallerie presenti, alcuni specifici linguaggi ben visibili e distinguibili.
Sul fronte dell’arte di primo Novecento la richiesta si è orienta soprattutto verso grandi classici dell’espressionismo francese, fra i quali ha spiccato un meraviglioso André Derain del 1906-07 presentato dalla canadese Galleria Landau di Montréal, con doppia sede in Svizzera a Meggen, la quale ha portato in fiera anche un mirabile Chagall e opere astrattiste e surrealiste di Kandinskij, Mirò e Magritte. Di Kandinskij molto poetico anche il delicatissimo lavoro su carta presentato dalla Galleria Tega di Milano, che ha mostrato il senso della ricerca sul punto, la linea e la superfice del grande maestro russo. Sui linguaggi espressivi merita di essere menzionata la Jörg Maass Kunsthandel di Berlino (presente nella sezione feature) con strepitose xilografie dei maestri della Die Brücke: Kirchner, Heckel e Schmidt-Rotluff, veramente opere per collezionisti colti e raffinati.
Il secondo Novecento è stato dominato soprattutto dall’arte informale. Moltissime e di grande qualità sono le opere di Jean Dubuffet (Galerie Karsten Greve – St. Moritz, Cologne, Paris; Waddington Custot – London; Di Donna – New York) cui rispondono i formidabili Burri (presenti in molte gallerie: Galerie Karsten Greve, Luxembourg & Dayan, Tega) e in particolare le Plastiche rosse della Galleria Tornabuoni che, a distanza di più di cinquant’anni, sono state ancora capaci di raccontare le ferite e le lacerazioni del Secolo Breve. Di grande impatto emotivo è stato anche il dipinto di Emilio Vedova De America ’76 – 7 del 1976 presentato dalla veronese Galleria dello Scudo che non ha mancato, al contempo, di mostrare altre grandi opere di autori italiani fra le quali è balzato allo sguardo un meraviglioso Leoncillo del 1963.
L’arte italiana – l’Arte Povera in particolare – sicuramente continua a dominare il mercato (dei transavanguardisti in Basel resta solo un solitario Mimmo Paladino presentato dalla Galleria Christian Stain). Valgano come esempi la presenza di una gigantesca stella di Zorio alla parigina Galleria Pietro Spartà, i tantissimi Kounellis alla Anthony Meier di San Francisco, che però ha portato anche simultaneamente opere di Jim Hodges, Albers, Donald Judd e Richter. Ancora, si sono incontrati Pistoletto (Galleria Continua, Luhring Augustine ), Paolini (Galleria Massimo Minini, Alfonso Artiaco), Anselmo (Tucci Russo, Alfonso Artiaco, Bernier/Eliades) Mario e Marisa Merz (Tucci Russo, Sperone Westwater, Christian Stein) e molti altri. Il contraltare americano è stato, invece, rappresentato da un’ottima carrellata del migliore minimalismo possibile: Donald Judd e tanti Sol Lewitt (Annemarie Verna Galerie, Carolina Nitsch, Brooke Alexander, Inc., Galería Elvira González, Alfonso Artiaco) cui fanno da sponda almeno 3 del gruppo BMPT: Buren (Tucci Russo, kamel mennour, Galleria Continua, Lisson Gallery) Mosset (Massimo De Carlo, galerie lange + pult) e Toroni (A arte Invernizzi) cui si aggiunge François Morellet (The Mayor Gallery, A arte Invernizzi) sempre straordinariamente attuale.
Nella categoria feature meritano di essere menzionate la galleria Richard Saltoun con un progetto dell’artista inglese Helen Chadwick, che ha raccontato attraverso la leggerezza di un fantasioso giardino il pensiero femminista britannico, la Galleria Max Meyer di Dusselforf con l’allestimento di uno storico lavoro del 1986 di Jef Geys, infine la Galleria Lorcan O’Neill di Roma con le opere di Rachel Whiteread artista che tutti conoscono per il toccante Memoriale dell’Olocausto di Vienna.
Ci fermiamo qui e passiamo al piano superiore. Rintracciare lavori intensi, capaci di far pensare o di coinvolgere totalmente non è stato facile. Ciò indica evidentemente una certa attitudine alla realizzazione di opere facili, leggere, anche molto ironiche e vagamente poppeggianti (non per le connessioni alla poetica ma per il banale uso di cromie piatte e dai toni squillanti). Opere proposte da gallerie più di tendenza che, tuttavia, hanno mostrato un certo allineamento con molti remixaggi dal passato. Non sono mancati all’appello i noti Damien Hirst e Ai Weiwei, chiaramente artisti brandizzati, quest’ultimo in particolare, però svanito allo stesso interno della Neugerriemschneider di Berlino che lo ha presentato, nel confronto con la parete di fianco ritmata dalle opere di Jorge Pardo, Rirkrit Tiravanija, Elizabeth Peyton, Pawel Althamer.
Davvero bellissimo lo stand della Galleria Juana de Alzpuru di Madrid che ha presentato i lavori di Alicia Framis, grandi teli con scritte che recitano in varie lingue del mondo Is My Body Public? residuo di una performance incentrata sui temi del corpo femminile, in quanto corpo politico e personale. Lavoro che si completava con quello di Sandra Gamarra che ha ricostruito fittiziamente un museo, con reperti inventati che propongono un’idea di conservazione alternativa sempre intorno ai temi della sessualità.
Altrettanto spettacolare è stato lo stand allestito dalla Catriona Jeffries di Vancouver dove Ron Terada ha proposto una cinquantina di quadri bianchi attraversati da scritte con font sempre diversi, i cui temi interessano la relazione che intercorre fra la politica e la comunicazione sui social.
Ancora, ha spiccato fra i corridoi l’installazione specchiante di Olafur Eliasson presentata dalla galleria Tanya Bonakdar di New York e Los Angeles accompagnata dalle opere di Ernesto Neto, Martin Boyce e Tomàs Saraceno. Tutte davvero strepitose. Infine, fra le gallerie di feature si è incontrata la Supportico Lopez di Berlino con uno storico lavoro di Augusto de Campos, Robert Watts: Fun with Fluxus, 1984 – 1991; davvero un’ottima entrata in Art Basel per questa galleria.
Gli artisti, le opere e le gallerie da citare sarebbero ancora moltissime, ma a concludere questo breve excursus sulla fiera più grande del mondo, basti l’eloquente scritta al neon di Glen Ligon presentata dalla Galleria Thomas Dane di Londra e Napoli: Siete Ospiti (se non avete milioni da spendere). Tanto per capire il flusso di denaro mosso da Art Basel in questi giorni, basti sapere che l’opera di Robert Longo (quella in Art Unlimited) è stata venduta a un museo europeo per la modica cifra di 1,5 milioni di dollari. Ma anche la nostra Lara Favaretto non è stata da meno. La favolosa installazione Birdman or The Unexpected Virtue of Ignorance è stata contrattata per oltre 200.000 euro. Non è 1,5 milione di dollari ma è un ottimo risultato.