Michele Beltrame, Margherita Paola Manfrinetti, Martina Riso, Leonard Gjata, Marika Parisi, Stefano Nuzzo, Marta Kubasińska, India Kaptan, Monika Garncarczyk, Sandro Bonomo, Lucia Bonomo, Mauro Campagnaro, Francesco Antonio Bragagna, Sotiria Fasoi Mylona, Maria Pernice, Shenhave Ragiv, Silvia Orione, Ángel Daniel Pérez Grajales, Leonardo É. Flores Ojeda, Yuria A., Toriz de la Cueva, Ludwing Jhonathan Rojas Reyes, Carolina Micaela Herrera Diaz e Karol Nicole Altamirano Castaneda sono solo alcuni tra gli studenti, professionisti e studiosi che hanno partecipato al workshop “Architettura gassosa” presso il padiglione Spagna alla Biennale di Architettura di Venezia appena conclusa.
Ideato all’interno del progetto “Becoming” curato da Axtu Aman nel Padiglione Spagna, il workshop è stato organizzato in collaborazione con lo IUAV di Venezia e con la Universidad de Arquitectura de Xalapa (Veracruz, Messico), partendo da un progetto teorico di Emanuele Lo Giudice che riflette sulle possibilità a venire dell’architettura in relazione soprattutto alle trasformazioni tecnologiche e globali in atto nella società odierna.
I sistemi di comunicazione e connessione riflettono le modalità di relazionarsi socialmente. Queste ultime sono trasmutate da uno stato ‘solido’ a uno stato ‘liquido’ che si è poi vaporizzato in una consistenza ‘gassosa’ nella quale sono esplosi tutti i legami. Di conseguenza, l’architettura, eretta quale specchio delle simbiosi collettive, non è più un modello ordinato secondo leggi strutturali in un determinato luogo, bensì si disgrega in un insieme di elementi funzionali che esplodono proiettandosi in diverse possibilità di collocazione. Parliamo di spazi relazionali e di spazi trasformabili, secondo gli insegnamenti di Nicola Carrino o Yona Friedman.
All’interno della scomparsa della relazione tra l’edificio e il luogo, uno dei casi più emblematici è sicuramente quello del Museo, che diviene ambiente di incontro di flussi e persone, contenitore di idee e temi eternamente differenti, oltre che piattaforma di scambio di informazioni.
In questo lavoro teorico, Emanuele Lo Giudice prefigura scenari architettonici, futuri, immaginando uno dei futuri possibili, mentre il workshop affronta nuove dinamiche partendo dall’ambito circoscritto di un frammento di ‘museo gassoso, mobile, temporaneo e riconfigurabile’. Nel museo gassoso i legami non sono più statici e definitivi, bensì temporanei e modificabili nel tempo. Ogni elemento può essere assemblato e ri-assemblato in forma nuova.
In che maniera l’allestimento di un prodotto artistico secondo un’idea gassosa può diventare un mezzo di interpretazione e analisi di un nuovo modo di costruire un museo? Come si può sorpassare la visione statica e conservativa del museo per entrare in una visione dinamica dove gli allestimenti viaggiano nel mondo insieme agli spazi che li contengono, non più come oggetti contenuti in un contenitore, ma come un’unità espositiva autonoma costituita da spazio-oggetto?
La complessità delle domande in atto ha richiesto la partecipazione e il coinvolgimento di figure eterogenee quali architetti, artisti, direttori di museo…
Fra gli intervenuti nel dibattito: Giorgio De Finis, direttore artistico del Macro Asilo di Roma, Maria Rosa Jijon, attivista e segretario culturale dell’IILA (Istituto Italo Latino Americano), Agostino De Rosa, architetto e docente presso lo IUAV di Venezia, Tiziana Migliore, docente di semiotica presso l’Università di Tor Vergata di Roma, Renato Bocchi, architetto e docente presso lo IUAV di Venezia
Fra gli artisti che hanno condotto i laboratori: Massimo Mazzone, scultore e portavoce del collettivo Escuela Moderna/Ateneo Libertario, Barcelona, Clemencia Labin, artista visuale venezuelana, Daniele Scarpa Kos, artista veneziano e Eleonora Gugliotta, performer e artista multimediale.
La dimensione teorica è stata continuamente esaminata da un ambiente laboratoriale costituito da tavoli di lavoro guidati da un artista che proponeva un’opera o un processo creativo come pratica d’immaginazione per un gruppo di studenti che dovevano immaginarne l’allestimento, seguiti da un tutor-architetto avente il compito di sostenere e seguire lo sviluppo del tema.
Nei tavoli di lavoro del laboratorio sono stati elaborati diversi tipi di allestimento, dall’idea di Clemencia Labin di creare un ambito dedicato ad ospitare un quadro vivente, tipico della sua colorata e folklorica produzione vicina alla santeria Sudamericana, al processo creativo proposto da Daniele Scarpa Kos, come scomposizione e ricomposizione di tale processo in uno spazio pensato per far vivere al fruitore un frammento della creazione di un’opera., alla scena di Gugliotta allao ‘Spazio Costruito Trasformabile di Mazzone’.
Il workshop è terminato con l’apertura di nuovi scenari di interpretazione e ha rappresentato una provocazione che si propone di riattivare la capacità di immaginare il futuro come esercizio di pensiero.
L’evento è stato patrocinato da: “Amate l’Architettura” che ha contribuito anche in modo attivo con la partecipazione di alcuni membri dell’associazione; IUAV di Venezia, Ambasciata del Messico; Ambasciata Spagnola; Istituto Cervantes; Università di Architettura di Xalapa (Vera Cruz – Messico); Ordine degli Architetti di Roma; Ordine degli Architetti di Venezia. La mostra ha chiuso le ultime due settimane della Biennale di Venezia, Padiglione Spagna Architettura, ai Giardini.
Di conseguenza, come scrive Elena Padovani su un appassionante articolo pubblicato da Amate l’Architettura, l’architettura, eretta quale consistenza ‘gassosa’ nella quale sono esplosi tutti i legami specchio delle simbiosi collettive, non è più un modello ordinato secondo leggi strutturali in un determinato luogo, bensì si disgrega in un insieme di elementi funzionali che esplodono proiettandosi in diverse possibilità di collocazione.