Si avvicina l’apertura di Arte Fiera Bologna e con essa anche ART CITY. Fra gli eventi da appuntare assolutamente in agenda c’è EOSECO, l’inedita e monumentale installazione site-specific dell’artista Giorgio Bevignani allestita negli spazi di Palazzo Zambeccari e Piazza de’ Calderini visibile al pubblico da mercoledì 30 gennaio. L’evento è senza dubbio fra più interessanti del ricco programma istituzionale di mostre, eventi e iniziative speciali, promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere. Esso, infatti, oltre ad aprirsi al pubblico in un momento di grande attenzione sulla città, si colloca nel suo tessuto a prescindere da Arte Fiera, quale intervento urbano di grande impatto visivo, mostrando contestualmente i caratteri della singolare ricerca di Giorgio Bevignani.
Curatrice dell’evento è Silvia Grandi, nota storica e critica dell’arte, infaticabile ricercatrice e sempre attenta ai linguaggi più originali dell’arte sicché, nella relazione che la lega a Bevignani, si evincono le peculiarità dei suoi studi dediti, in particolare, alle sinergie presenti negli ultimi decenni fra le varie aree sperimentali del visivo e del sonoro.
Abbiamo incontrato Silvia Grandi e Giorgio Bevignani, in una doppia intervista, per farci raccontare qualche anticipazione su EOSECO e approfondire taluni temi di rilievo sostanziali all’opera.
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Maria Letizia Paiato. Ci racconti come nasce l’idea di questo intervento di Bevignani per Bologna?
Silvia Grandi. Giorgio Bevignani è artista già conosciuto e apprezzato dalla città di Bologna. Tutto nasce, infatti, dalla sua esperienza con la Galleria Stefano Forni dove, conclusa lo scorso novembre, si è svolta RubraRebour, un progetto espositivo che abbiamo costruito insieme selezionando alcuni dei lavori più espressivi della sua ultima produzione artistica che, com’è noto, si concentra sulle commistioni e potenzialità di luce e materia. Proprio con la Galleria Stefano Forni, che è anche organizzatrice e promotrice di EOSECO assieme a Francesca Goldoni per Palazzo Zambeccari e lo stesso Bevignani,si è sostenuta l’opportunità del suo fuoriuscire oltre i confini degli spazi di galleria e l’irradiarsi della sua ricerca in città, nell’ipotesi di rendere ancora più d’impatto quel generarsi di forze apparentemente misteriose che accompagnano i suoi lavori. Tutto questo, secondo una pratica a lui affine, tanto è vero che, più volte Bevignani ha realizzato interventi urbani. L’ultimo per la città di Bologna, lo ricordiamo qui, ha visto l’opera I’m ready to live, che ritroviamo anche per EOSECO interagire negli spazi di Piazzetta P.P. Pasolini, Cineteca di Bologna, nel 2016. EOSECO, tuttavia, sarà un intervento diverso.
MLP. Cosa ci dobbiamo aspettare, dunque?
S.G. Dobbiamo specificare subito che, l’alternarsi degli incantevoli spazi di Palazzo Zambeccari e l’antistante Piazza de’ Calderini permettono il generarsi di un dinamismo molto particolare fra interno ed esterno, a sua volta amplificato dalla stessa installazione dove, se vogliamo, essa crea a sua volta una congiunzione spontanea fra elementi architettonici e naturali, interpretando essa stessa l’uno e l’altro elemento. Su Piazza de’ Calderini vedremo, pertanto, affiancate l’una all’altra come fossero due grandi stendardi, due note opere dell’artista: I’m ready to live (vincitore del Premio Spotlight 2015 della Royal British Society of Sculptor) e Soul of the dawn (2016), entrambe appartenenti a una trilogia rivolta alla Creazione. La prima, lo ricordiamo, è dedicata agli uomini, al deserto e al mare, quindi all’idea della migrazione e della rinascita in altri luoghi, la seconda alle donne è anche un messaggio contro il femminicidio, sicché entrambe narrano con grande poesia e un’apparente leggerezza taluni temi fra i più urgenti dell’attualità. Da questo punto ci s’inoltrerà in seguito nel suggestivo cortile rinascimentale di Palazzo Zambeccari dove, si potrà finalmente apprezzare EosEco (Nulla esiste senza ombra) una grande scultura sferoidale, anch’essa site-specific che, oltre a dare il titolo al progetto, rappresenta per lo spettatore il grado di massimo coinvolgimento e meditazione sul tema della luce. Una novità, infine, che si aggiunge al progetto, è la realizzazione in corso d’opera di un nuovo lavoro intitolato Extra Liz, anch’esso inedito, che andremo a collocare lungo il corridoio che conduce dalla piazza al cortile, sicché esso fungerà concettualmente da cerniera fra il dentro e il fuori, amplificando ulteriormente quel senso di ambientale e di enigmatica atmosfera che connette il tutto: opera e luogo.
MLP. Tornando sullo specifico delle opere e in poi in particolare su EosEco, cosa ci puoi raccontare di più?
S.G. I’m ready to livee Soul of the dawn sono, come accennavo pocanzi, due opere “storiche dell’artista”. Si tratta, in entrambi i casi, di due grandi reti in filato di fibra sintetica intrecciata a maglia dall’artista che, come fossero due stendardi, scendono parallele dall’alto. Sono due figure totemiche che, nell’affrontarsi l’una all’altra, interagiscono con lo spazio urbano e modificano, allo stesso tempo, sia la percezione del luogo da parte del pubblico, sia la loro stessa natura, essendo sensibili ai cambiamenti di luce della giornata. Va da sé che tale processo amplifica la sensazione quasi mitica che accompagna le opere stesse, trasportando simbolicamente l’osservatore in una dimensione contemplativa e di raccoglimento, accentuata anche dalla forma a stendardo che richiama suggestioni di matrice religiosa del passato. Inoltre, si potrebbe aggiungere che, in questi intrecci di fibre sintetiche, che Bevignani realizza rigorosamente a mano, egli si riconnette l’attività umana e a un fare quasi rituale, recuperando un’obliata artigianalità che rappresenta un’altra sfaccettatura dell’anima dell’opera. Opera narrante, infine, dell’incontro tra naturale e artificiale attraverso il quale lo spettatore è invitato a vivere una vera e propria esperienza.
MLP. Puoi spiegare meglio questo nodo? Quello fra la relazione natura-artificio in Bevignani?
SG. Queste grandi installazioni, realizzate con materiale siliconico, molto morbido, si presentano alla vista con fattezze propriamente organiche. Un elemento sul quale soffermarsi è, inoltre, il valore che Bevignani assegna alle superfici che, se ci pensiamo, infatti, sono poi quelle che il nostro occhio riesce ad apprezzare in natura. Non parliamo di qualità decorative ma al contrario di qualcosa che paradossalmente verte in una ricerca sulla profondità. Il suo è un lavoro di scavo e poi di svelamento dove, la singolare scelta di materiali “artificiali” e la loro lavorazione, che conduce spontaneamente all’emulazione dei funzionamenti della natura, fanno sì che proprio quest’ultima, di cui siamo parte anche noi, sia molto più evidente. Se ci pensiamo, infatti, del mondo organico conosciamo perlopiù le apparenze. Potremmo dire pertanto che Bevignani, attraverso l’artificiale torna al naturale, o meglio lo svela, secondo un processo mediato dalla tecnologia, dalla quale non possiamo prescindere per raccontare il presente. In tal senso, l’artificiale diventa l’equivalente della natura.
MLP. Tale rapporto, ci insegna la storia dell’arte, è stato spesso indagato, oltre che fondante a vari movimenti, gruppi o tendenze, soprattutto per quel che riguarda la ricerca sui materiali. Come esattamente lo vedi nel presente ma anche nel futuro?
SG. Certo, il rapporto arte, natura e artificio sono un argomento antico nell’arte. Ma, senza andare troppo indietro nella storia, ci basti pensare all’Arte Povera e ai numerosi innesti che l’hanno caratterizzata. Tuttavia, in quarant’anni, la ricerca sui materiali è molto avanzata e oggi abbiamo a disposizione elementi ancora più duttili, plastici e plasmabili. Ciò rappresenta evidentemente una grande opportunità per la ricerca artistica, ed è in questo campo, a mio parere, molto più che in quello della pittura, dove il fuoriuscire da un determinato schematismo è limitato, che si giocano e giocheranno le sperimentazioni più avvincenti. Tornando a Bevignani, dunque, è qui che va correttamente collocata la novità del suo lavoro. Se in passato i contrasti fra natura e artificialità erano evidenti, oggi nelle sue opere leggiamo una sorta di fusione che concettualmente rimette in equilibrio ciò che ci circonda, con ciò che siamo, compresa la nostra storia culturale. EosEco racconta questi aspetti e molto di più.
MLP.Ci puoi raccontare tu, a questo punto cos’è EosEco? Il progetto e l’opera?
Giorgio Bevignani. Tutto nasce dalla mostra alla Galleria Stefano Forni. In quell’occasione l’ispirazione dei dipinti, si badi bene però sempre realizzati dall’esplorazione dell’uso del silicone mischiato al colore, nasceva da un verso di Giacomo Leopardi. Dunque, da una meditazione sulla luce riportata e correlata ai materiali. Ci tengo a specificare che le materie utilizzate hanno sempre una valenza inedita, intendo dire che nel mio lavoro non è contemplato il concetto di ready-made, tanto è vero che – come Silvia ha già rilevato – non si osservano innesti o relazioni dove la natura e il cosiddetto artificio appaiono distinte, ma al contrario e per l’appunto, si osserva un tutt’uno in cui la materia è propriamente da considerarsi qualcosa di ex-novo. EosEco, l’opera e dunque l’intero progetto, nasce, invece, dalla lettura di un piccolo libro straordinario: Breve Storia del Verbo Essere di Andrea Moro. Qui l’autore afferma un concetto che si sposa perfettamente alla mia poetica quando, sintetizzando, dice che: la luce da sola non si vede così come la materia non si vede senza luce. Partendo, pertanto, da una riflessione su questa realtà che qualifica i due fenomeni fisici, mi sono chiesto se fosse possibile nel loro incontro aggiungere un altro elemento per sua stessa definizione immateriale: il suono. Sicché la domanda è diventata: sarebbe possibile uno dalla luce? Se sì, come sarebbe? Così è nata EosEco. Sono stati puntualmente registrati tutti i suoni e rumori delle fasi della sua realizzazione, compresi quelli delle mie mani mentre plasmavo la materia. I suoni dell’interno dell’opera manipolati da due musicisti e poi amplificati nel cortile trasformano la sfera in una sorta di cassa di risonanza che, nell’incontro con la superfice materica – una texture di rivestimento piena di protuberanze e di rilievi simil-organici, a sua volta interessata da elementi luminosi – ci permette concettualmente di visualizzare quel suono che supponiamo esistere nella luce.
MLP. Apparentemente sembra tutto molto tecnico ma è evidente come in ciò risieda una grande poesia. Sulla forma e sul titolo cosa ci puoi dire?
G.B. Parto dal titolo perché i titoli sono per me sempre molto importanti. EosEco è una parola le cui radici idiomatiche si rintracciano nel greco (Eos, ovvero l’Aurora greca è luce), inglobando in sé e connettendosi automaticamente alla forma sferoidale dell’opera. Forma che richiama quella di un seme, lemma che a sua volta trattiene sia il concetto di luce ma anche quello di libertà. Tieni presente che il seme, seguendo l’etimologia latina, s’identifica con il germogliare, perché da sotto la terra avanza nel buio alla ricerca della luce, mentre nell’etimologia germanica s’identifica con la crescita vegetativa, sicché in una sola forma si condensano diverse letture e significati. Ecco allora che con quest’opera noi possiamo osservare nell’artificiale il naturale e viceversa. C’è infine, un altro elemento niente affatto marginale. L’opera si plasma all’ambiente che l’accoglie, dialogando con una terracotta ottocentesca raffigurante Bacco, sicché anche il contrasto culturale tra epoche diverse rientra in questa vitale circolarità.
MLP. E sul nuovo lavoro? Quello cui faceva riferimento Silvia Grandi?
G.B. Sarà un’opera cerniera fra Piazza de’ Calderini e Palazzo Zambeccari. Una sorta di grande panno in nylon e silicone di circa 6 mq intitolata Extra Lizla cui peculiarità è la trasparenza, poiché esso si compone di circa 6500 piccoli elementi siliconici, simili a delle goccioline o delle biglie dalle tonalità del blu, del giallo e del rosso.
S.G. Aggiungo io che l’accostamento di queste cromie fluorescenti e le trasparenze del particolare materiale nel reagire alla luce generano degli effetti cangianti che suggeriscono il senso della metamorfosi. Anche in questo caso, partendo dal presupposto che la trasformazione è insita nella natura, assistiamo a un sapiente uso di materiali artificiali che si riorganizzano, per incontrarsi e re-incontrarsi continuamente con quanto la natura e l’ambiente circostante offrono. Ancora di più, avremo qui un elemento che permetterà allo spettatore di vivere in modo ancora più amplificato il senso di un’esperienza dove è l’energia, ciò che in fondo muove tutto, ad essere idealmente percepita.
EosEco di Giorgio Bevignani
un progetto di Francesca Goldoni
a cura di Silvia Grandi
in collaborazione con Galleria Stefano Forni
Nell’ambito di Art City segnala 2019 in occasione di Arte Fiera
Palazzo Zambeccari, Piazza de’ Calderini 2/2, Bologna
Vernissage martedì 29 gennaio 2019 ore 18.30 (su invito)
Apertura al pubblico: dal 30 Gennaio al 28 Febbraio 2019
Info: www.porticozambeccari.it – www.galleriastefanoforni.com