Le opere di Andreas Zampella nascono dalla percezione e dalla relazione con i luoghi, con spazi che custodiscono storie del passato e memorie di molteplici vite. L’artista esplora città che furono entità, in grado di vivere e generare, quegli stessi luoghi che ad un tratto hanno smesso di esistere, per tornare poi con fatica a respirare, al più a sopravvivere.
Trevico, comune italiano di 1 079 abitanti, provincia di Avellino, m 1.094 s.l.m.
Aliano, comune italiano di 1.009 abitanti, provincia di Matera, m 555 s.l.m.
Trevico e Aliano sono legate da un comune destino, simile poi a quello di tante altre piccole città d’Italia, lo spopolamento, l’abbandono, iniziato con l’industrializzazione, con la trasformazione delle comunità contadine in società operaie. L’emigrazione e l’allontanamento dalle campagne hanno avviato un processo di mutamento continuo, l’alterazione di antichissimi costumi e tradizioni stratificate, fino al volgersi dei ritmi verso l’inarrestabile globalizzazione. Chi è ritornato, chi è rimasto si è trovato ad essere non più pellegrino in direzione di una meta, ma turista che inconsciamente baratta la propria identità per l’illusione della libertà (Z. Bauman, Una nuova condizione umana, Milano, Vita e Pensiero, 2003, p. 18.). Il mondo globale perde le sue agorà, spazi né pubblici né privati, ma privati e pubblici al tempo stesso, in grado di accogliere e trasformare le miserie private dei cittadini in “bene pubblico”, in “valori condivisi”, in poche parole in quel che si usa definire società (Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 10-11.). D’un tratto risultano smarriti i luoghi comunitari, di aggregazione e di condivisione, e gli abitanti delle città svuotate, trasformati all’improvviso in cittadini globali, mestamente si ritirano a vita privata, nel vano tentativo di gestire vicende e tensioni che la attraversano, nell’illusione di trovare o costruire autonomamente la propria salvezza (Z. Bauman, Una nuova condizione umana, Milano, Vita e Pensiero, 2003, p. 19.).
È in questi paesi dimenticati, in questi comuni invisibili che Andreas Zampella si ritrova sempre più spesso a passeggiare: il vuoto scavato dal tempo diventa il mezzo della sua ricerca, il contributo alla ricostruzione di comunità e civiltà consapevoli il fine del suo lavoro.
Nascono così i progetti Bèllìco (2014), Monumento (2015) e Gironz’Aliano (2016), emersi da molteplici ventri e sussurranti lo stesso respiro. Andreas Zampella esplora paesi e comuni attraversando l’ombelico dei loro abitanti, uno dei luoghi più intimi che l’uomo possiede, in cui si concentrano emozioni e delusioni, battaglie e conquiste, e in cui si conservano i segni del tempo, i resti di vittorie e sconfitte. È il ventre la caverna di ogni uomo, lo spazio ancestrale in cui questo impara a sentire e gestire le proprie sensazioni, in cui si depositano le storie del passato, le ansie del futuro, le premesse di ogni trasformazione. Coperti, nascosti, protetti, questi pochi centimetri del corpo umano, scavati nella carne, si lasciano scrutare da un obiettivo, rinunciando alla propria intimità, per farsi racconto di una comunità, strumento di conoscenza e documento di natività.
È Bèllìco il primo progetto che, con l’intento di raccontare, inquadra non un volto, non degli occhi, uno sguardo o delle labbra, ma una pancia, un ventre con il suo ombelico. In questa prima sperimentazione Andrea Zampella si fa indagatore di nuclei familiari moderni, narrandone la storia, la corporeità, facendone sentire il respiro giovane e leggero, invecchiato e rauco.
Dal progetto Bèllìco prende vita Monumento, evoluzione contestualizzata geograficamente nel comune di Trevico. Concentrato sul concetto di spopolamento e ripopolamento, in collaborazione con la Casa della Paesologia e sulla linea di pensiero di Franco Arminio (https://casadellapaesologia.wordpress.com/ ultima consultazione: 13 settembre 2016.), Zampella si addentra in un processo di osservazione e conoscenza dei nativi di un paese dell’Irpinia, realizzando monumenti non in memoria ma in omaggio ai suoi abitanti, a tutti coloro i quali hanno contribuito a costruire, azione dopo azione, decisione dopo decisione, la storia di quella terra, e a chi ancora contribuisce a renderla viva. Monumento è un’opera che parla del passato, delle memorie del luogo, della storia di una comunità ai più sconosciuta, ma è per lo più un progetto che vive nel presente e che parla al pensiero del futuro, stimolo alla creatività, al cambiamento, al rinnovamento, speranza di ripopolamento. Anche in questo caso, gli ombelichi danno respiro all’opera, come un polmone che si riempie d’aria pura e con generosità si fa sorgente e riserva, così questi ritratti ingranditi, affissi tra le mura della città, temporanei ed effimeri, si pongono come luogo di conoscenza, come tempo per l’osservazione della realtà, come tracce volatili di un omaggio alla ricostruzione e alla storia di questa città.
Nel 2016 nasce Respirabile, come risultato tangibile del progetto Gironz’Aliano, sviluppato in occasione del festival La luna e i calanchi, ideato e curato da Franco Arminio, organizzato con lo scopo di raccogliere tensioni civili e artistiche del mediterraneo, con particolare attenzione a quello che accade in Lucania e nelle regioni vicine (http://www.lalunaeicalanchi.it ultima consultazione: 13 settembre 2016.). «Gagliano è un piccolissimo paese, e lontano dalle strade e dagli uomini: le passioni vi sono perciò più elementari, più semplici, ma non meno intense che altrove» (C. Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, Torino, Einaudi, 1945, pp. 18-19.). Carlo Levi descriveva con queste parole la terra e la popolazione di Aliano, dopo aver trascorso nel paese il suo periodo di confino durante il regime fascista. Rimase legato a quella terra, quel medico, pittore e scrittore, nato a Torino ma sepolto ad Aliano, per mantenere la promessa di tornare, fatta agli abitanti prima di partire, legato a quei luoghi rimasti autoctoni, fermi nel tempo, conosciuti nel loro manifestarsi naturale: «Conoscevo ogni anfratto, ogni colore, ogni piega della terra. Con il nuovo caldo, la vita di Gagliano pareva più lenta che mai. I contadini erano nei campi, le ombre delle case si stendevano pigre sui selciati, le capre sostavano al sole. […] distinguevo ogni voce, ogni rumore, ogni sussurro, come una cosa nota da tempi immemorabili, infinite volte ripetuta, e che infinite altre volte sarebbe stata ripetuta in futuro» (C. Levi, Cristo si è fermato ad Eboli, Torino, Einaudi, 1945, p. 250.). Di quella civiltà contadina poco si è conservato nel tempo, ma intatta è rimasta quella preziosa lentezza, tanto ricca da lasciare il tempo di godere di olivi e cipressi, pendii e torrenti, istanti per annusare l’aria e per guardare nell’ombra. Quella lentezza, in cui pesavano sguardi, gesti, parole, movimenti del corpo e della mente, così ben descritta da Carlo Levi, è afferrata da Andreas Zampella in ognuno dei respiri registrati, in tutti gli ombelichi rubati ai passanti, ai passeggianti, agli abitanti.
Nella creazione di un’entità autonoma, l’artista ha dato vita a un organo che respira per Aliano, per la Basilicata, per il Sud, per un’Italia che vive nell’estremo ma inconsapevole bisogno di rimpossessarsi del proprio tempo: luoghi, storie, persone. Nella piazza di Aliano, il respiro di questo organo sembra ridare aria a quelle terre e fiato a quella gente, carnale la visione di molteplici ombelichi riuniti in un unico movimento vitale, inspirare, espirare, per le proprie origini, per la comunità contadina, per una rinascita consapevole di quelle terre di nessuno.
Annalisa Ferraro