Anche quest’anno il Museo MADRE ha aderito alla iniziativa #AskACurator, una giornata per dialogare digitalmente con i curatori dei musei di tutto il mondo. Come negli anni precedenti, il pubblico di Twitter interagisce dal vivo con i curatori dei principali musei del mondo: un “incontro diretto” per soddisfare le proprie curiosità sul mondo dell’arte, scoprire gli interessanti aneddoti che si celano dietro l’allestimento di ogni mostra o semplicemente vivere più da vicino l’esperienza curatoriale. Per l’edizione 2017 hanno aderito 1456 musei di 57 diverse nazioni, tra cui il MoMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi e la Tate Gallery di Londra, e per l’Italia, fra gli altri, il Castello di Rivoli-Museo d’arte contemporanea, il Museo del Novecento di Milano e il MAXXI di Roma. Dopo la grande retrospettiva di Roberto Cuoghi, chiediamo ad Andrea Viliani alcune precisazioni della nuova stagione del Madre, che si apre con la mostra di Franz Cerami, un artista multimediale che propone un progetto fortemente legato al contesto, tanto al territorio napoletano e campano quanto al Madre stesso.
Andrea Viliani. L’opera di Franz Cerami, che si intitola Eggs & Skulls – “uova e teschi” -, consiste in una video-animazione digitale conseguente ad una mappatura della facciata principale del cortile interno del museo. Cerami ha operato una vera e propria sintesi tra architettura, disegno a mano – che è all’origine di ogni immagine digitale successiva – e proiezione video. È un’opera di crossover, tra tecniche più tradizionali come il disegno a mano e tecniche ipercontemporanee, che si incontrano sulla struttura stessa dell’architettura museale. I contenuti di Eggs & Skulls sono sostanzialmente costituiti da un periplo, da una esplorazione e rievocazione dei motivi iconografici più strettamente legati alla storia dell’arte a Napoli e in Campania: un repertorio di archetipi che attraversano un po’ tutta la storia dell’arte e della cultura campana, dal teschio, che è quello di Pompei, ma è anche la “capuzzella”, all’uovo come simbolo di vita, di rinascita, presente anche nella collezione del museo all’interno dell’affresco di Francesco Clemente.
Stefano Taccone. Ma c’è anche la tradizione legata a Castel dell’Ovo…
Dove tra l’altro Cerami ha realizzato un analogo progetto di video-mapping e proiezione digitale alcuni anni fa. Ma in mezzo a questi due estremi, che rappresentano la vita e la morte – binomio abbastanza indissolubile nella cultura campana, di relazione tra il classico e il barocco, la luce e il buio, la vita e la morte – ci sono tanti personaggi ed immagini archetipici – San Gennaro, Pulcinella, il vulcano che erutta, la Sirena Parthenope – che si legano anche alla collezione site specific con cui il Madre apre nel 2005, per esempio l’ancora – non possiamo non citare l’ancora di Jannis Kounellis –, il cavallo – non possiamo non citare il cavallo di Mimmo Paladino, che sono anche riferimenti alla tradizione marinara di Napoli o alle vie e piazze con i loro monumenti equestri, come Piazza del Plebiscito. Il progetto di Cerami sottolinea la stringente relazione tra le sue collezioni, con cui il Madre identifica la sua stessa storia istituzionale e la sua identità, ed il patrimonio di valori, di idee e di forme e segni iconografici che caratterizzano la storia della cultura campana. In questo senso Eggs & Skulls celebra la relazione tra un museo di arte contemporanea come il Madre e il territorio in cui opera, sia dal punto di vista storico che dal punto di vista iconico. In fondo Eggs & Skulls è la celebrazione contemporanea, attraverso la tecnologia e la sensibilità digitale, di una storia che ha molti secoli: l’affresco contemporaneo di un museo radicato nella storia e di cui si fa custode e testimone rivolto al futuro.
Questa mostra è la prima di Darren Bader in una istituzione pubblica italiana, ma non occupa uno spazio o un tempo definito all’interno del museo, in cui si espanderà al di là di ogni convenzione espositiva. Bader esplora l’arte come linguaggio, come pratica e come esperienza nella sua articolazione complessiva: non crea, ma edita; non rappresenta, ma riflette. Rifacendosi a matrici come il ready made di Duchamp o alla critica istituzionale, Bader le aggiorna a un momento storico in cui l’arte è entrata a far parte dell’industria dell’intrattenimento globale, nel momento della sharing economy e dei social network in cui tutto è condiviso e commentato, ammette, forse non è più il tempo di provocare con l’arte, come fece Duchamp, o di criticare i contesti operativi dell’arte, come fece la critica istituzionale. È piuttosto arrivato il tempo di raccontare, di condividere l’arte, di farla diventare materia di riflessione e commento, componente di un’esperienza complessiva del nostro vivere quotidiano, dove l’arte non è solo musei, gallerie, mostre, opere…, ma anche mezzi digitali di comunicazione, per esempio, producendo una “artisticizzazione” della nostra vita quotidiana.
È quanto sosteneva anche Baudrillard già trent’anni fa…
Esattamente! Partendo da alcuni punti cardine della modernità, la mostra, nella sua esplosione, riflette quella sempre più evidente tra real e fictional, tra playful e critical in cui siamo immersi. Facendo il suo ingresso al museo Madre Bader ne sconvolge un po’ la routine istituzionale, evocando uno spazio-tempo di intervento integrale, che coincide con la presentazione del sesto capitolo di Per_formare una collezione.
Come sarà questo sesto capitolo?
Una conferma e un approfondimento del metodo di lavoro che abbiamo adottato dal 2013: nessun ordine cronologico o ripartizione geografica e nessuna serie di “stazioni” che postulano scuole già consolidate, o linee di ricerca già definite, ma un itinerario mobile tra discipline, generazioni, formazioni e mezzi espressivi diversi che riposiziona lo sguardo contemporaneo sulla storia dell’arte. Una collezione che ha come fulcro Napoli e la Campania, quali storici crocevia delle sperimentazioni contemporanee. Dunque una collezione in cui questi territori nevralgici possano rispecchiarsi e che nello stesso tempo permetta di farne conoscere la centralità propulsiva anche al resto del mondo. Del resto a Napoli e in Campania è accaduto praticamente di tutto, nell’ambito delle ricerche artistiche, e pertanto non è riduttivo pensare ad una storia dell’arte attraverso il filtro di ciò che qui è avvenuto. Sarebbe quasi possibile raccontare la storia dell’arte contemporanea senza dover lasciare Napoli e la Campania: e questo è uno degli aspetti, tra il lologico e il provocatorio, che questo progetto si propone di affermare.
Infine, dal 28 ottobre, viene inaugurata “Pompei@Madre”. Una inedita relazione con la Materia Archeologica...
È una mostra che risulta da una collaborazione inedita, perché il Parco Archeologico di Pompei collabora per la prima volta con un museo d’arte contemporanea, il Madre, per definire un metodo di lavoro in cui esplorare le relazioni fra archeologia e arte contemporanea. Non si tratta di ospitare una mostra di archeologia guardando ad essa con gli strumenti e la sensibilità contemporanea, ma di creare effettivamente un confronto tra discipline, istituzioni, opere e manufatti che insieme accorciano le distanze spazio-temporali e fanno emergere in entrambi gli ambiti elementi affini: nel contemporaneo per esempio emergono elementi che potremmo definire universali e che quindi sgombrano il campo dalle accuse di essere facile, o incomprensibile, o addirittura inutile, poiché esso in realtà germina da una storia millenaria. Portare in superficie e articolare il valore archetipico anche di alcune opere contemporanee, come quelle nella nostra collezione al primo piano, significa operare in questo senso. Nello stesso tempo la materia archeologica possiede inusitati spunti di riflessione contemporanea. Il titolo che è stato individuato da Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei, che cura insieme con me questa mostra, sottolinea del resto non un tema all’interno dell’archeologia, o della contemporaneità, ma il desiderio di identificare un territorio comune, da esplorare insieme. Materia nel senso di elemento fattuale e oggettuale, cioè la materia di cui è fatta un’opera, ma anche come disciplina, campo di indagine e di studio.
Non intravedi il rischio che accostando antico e contemporaneo si possa cadere in un analogismo formalista che poi rimane avulso da quella che è stata o è la funzione delle singole opere o dei singoli manufatti, sia archeologici che contemporanei, e quindi di commettere una sorta di tradimento?
L’opera è sempre “aperta”, come ci ha insegnato Umberto Eco… E il rischio di tradirla è presente nella storia stessa dell’archeologia. Se tu pensi a come le estetiche neoclassiche hanno attribuito un’aura a qualcosa che poteva avere una natura meramente funzionale, o hanno attribuito un candore direi “ideologico” ad opere che avrebbero potuto avere una cromia pop… puoi affermare che il tradimento, inconsapevole, è parte stessa della tradizione del classico, dell’idea che ogni generazione se ne è fatta. È chiaro che tutta la storia dell’archeologia procede per ipotesi, per scoperte progressive, cerca di connettere i frammenti in una unità coerente, e che pur basandosi su elementi scientifici nello stesso tempo ha sempre richiesto il contributo dell’intuizione. Uno storytelling che può essere associabile anche ad un’opera che ancora non esiste, o che esiste da poco, come l’opera d’arte contemporanea. Direi che in questo senso è forse più opportuno creare un varco fra archeologia e contemporaneità che non unire fra loro modernità e contemporaneità, che sono caratterizzate invece da fratture intellettuali, gnoseologiche, critiche, che in qualche modo procedono per opposizione, o reciproco superamento, fra retroguardia e avanguardia. Questa mostra ovviamente si assume dei rischi, perché si dota di un metodo in qualche modo ancora da definire, e nello stesso tempo però, avendo la sensazione che un metodo si potesse definire, lo argomenta all’interno della mostra, fornendo tutta una serie di possibili regole, di possibili elementi di lessico, sintassi, grammatica, e quindi linguaggio su cui costruisce la propria storia. È del resto quello che consiglia la straordinaria possibilità di collaborare direttamente con un’area archeologica come Pompei, che è una vera e propria macchina del tempo, di avere un riscontro diretto e ampiamente articolabile, non sempre possibile e quindi praticato in mostre analoghe che tematizzano il rapporto tra archeologia e contemporaneità, senza quindi limitarsi a categorizzare gli indizi di un ritorno nelle opere contemporanee di elementi archeologici. Siamo convinti che era giunto il momento di proporre una mostra come questa anche solo considerando alcuni esempi analoghi, ma non per questo del tutto associabili: come il Partenone ricostruito con i libri a Documenta 14, o la mostra di Damien Hirst a Venezia, o, esempio che è stato per me fonte di molteplici riflessioni, la doppia mostra alla Fondazione Prada – a Milano e a Venezia – a cura di Salvatore Settis. E più in generale se si considerano le pratiche di molti artisti contemporanei. Ormai da alcuni anni gli artisti hanno dimostrato un interesse verso l’archeologia basato su confronti diretti, documentati. Viene dun- que il momento di elaborare una sintesi, direi, “galileiana”: che cioè analizza gli esiti di questo interesse nel confronto diretto con quell’originale (che poi, si sa, è spesso a sua volta una copia…).
In effetti in Campania noi abbiamo Pompei, e dunque c’è una vocazione naturale del territorio a spingere in questa direzione…
Certo, questa antichità che in Campania non si è mai del tutto estinta… un ideale ipotetico che la classicità esprimeva e la contemporaneità ambirebbe a riconquistare, e che qui sembra più prossimo, più diretto, più possibile… quasi a portata di mano…
*L’intervista a cura di Stefano Taccone al Direttore del Museo Madrea Andrea Villani è pubblicata sul n.264 di Segno con il titolo Una nuova programmazione di mostre e molte relazioni da esplorare fra archeologia e arte contemporanea