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Amos’ World di Cecile B. Evans al Museo Madre di Napoli

Le immagini dell’ultimo episodio di Amos’ World di Cecile B. Evans, allestito presso la sala al pian terreno del Museo Madre a Napoli e curato da Cloé Perrone, mi hanno subito fatto pensare alla poetica del belga Marcel Broodthaers. La stessa atmosfera sospesa, l’artificio funzionale al messaggio, il paradosso del controllo totale che porta alla catastrofe (o, se vogliamo, alla liberazione).

Come si apprende dal comunicato stampa, il film è parte di una trilogia ambientata in un complesso residenziale in cui sono evidenti le esasperazioni di certa architettura tesa a massimizzare il risultato riducendo lo sforzo, destinata a individui perfettamente inseriti nel sistema capitalistico.

Amos, il protagonista che dà il titolo alla serie, è l’architetto autore del progetto e rappresenta lo stereotipo di un uomo arrogante e patetico nelle sue ambizioni intellettuali, che puntualmente vanno ad infrangersi contro la realtà e le esigenze degli altri individui. Per meglio godere delle riflessioni proposte dal film sui vari livelli di interazione possibili tra progetto e sua effettiva realizzazione, causati dalla differente gerarchia in cui si collocano i vari attori, l’artista ha predisposto dieci sedute in forma di parallelepipedo simbolicamente chiamate “Erratics”. Inoltre, per la realizzazione dell’ultimo episodio, Evans ha tenuto nel corso dell’estate 2018 un laboratorio con un gruppo di bambini residenti nelle Vele di Scampia, a Napoli. Il tema affrontato assieme ai partecipanti è stato quello di concepire una possibile alternativa alla brutale demolizione degli edifici in cui abitano, attraverso proposte e riflessioni focalizzate sull’idea di casa. Evans ha poi girato ed inserito le immagini del quartiere in alcune scene dell’ultimo episodio, e sembra auspicarne una ricostruzione non tanto in termini architettonici, bensì relazionali e comunitari, dettati da esigenze emotive. Questo stesso tipo di analisi, riflessioni e possibili soluzioni rimandano al lavoro dell’artista neerlandese Jeanne van Heeswijk, specificamente nell’opera/esperimento sociale dal titolo The Blue House. Nel 1996 il Comune di Amsterdam pianifica la creazione di un borgo interamente costruito su un’isola artificiale: IJburg, terminato poi nel 2012. Il borgo è provvisto di alloggi per circa 45mila residenti, rigorosamente standardizzati come avviene nelle aree di nuova espansione. L’artista van Heeswijk lo commenta così: “Typical of a new habitat like IJburg is that the entire project is devised in the conference room and on the drawing board and in this process, nothing is left to chance. But some qualities and elements, such as a history – a social and human history – stories, life and a beating heart, must grow and cannot be planned on the drawing board or built by a contractor.”

CECILE B. EVANS

AMOS’ WORLD (EPISODE THREE)

a cura di Cloé Perrone

Museo Madre – Sala Re_PUBBLICA Madre (piano terra)

Via Settembrini, 79 – NAPOLI

dal 20.01.2019 al 01.03.2019

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