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ALLEGRO MA NON TROPPO – la Parata di Andreco

Carnevale è una di quelle poche festività orgogliosamente pagane che nessun potere costituito è mai riuscito a debellare o surrogare in forme educate; un vaccino di follia che saziava il popolo e lo predisponeva alla consuetudine vitale di un’epoca in cui l’esistenza umana era strettamente legata alle stagioni e ai verdetti della natura. Anche l’Arte, in quanto fenomeno umano, ha sempre coltivato, in maniera più o meno manifesta, un legame con il mondo circostante e indagato sulla natura. La ricerca di Andreco si lega, perciò, ad una tradizione artistica plurimillenaria, decodificandola in tutte le manifestazioni e forme che l’artista di oggi può e deve utilizzare. La Parata della Fine, progetto di Andreco a cura di Giada Pellicari, pensato appositamente per il Centro Pecci in occasione di Martedì Grasso, è stata molto meno carnevalesca di quanto non si preannunciava: i percussionisti e gli sbandieratori dei Piccoli Alfieri di Prato si sono mossi con impeccabile professionalità, non distratti da fotografi e cameramen ronzanti e un pubblico, più o meno occasionale, a tratti divertito sotto le nere maschere imposte dall’artista, a tratti assuefatto dal suono coinvolgente dei tamburi.

Se il punto di partenza, ovvero i giardini prossimi al Centro Pecci, era quasi obbligato sia per ragioni pratiche di organizzazione, sia perché l’elemento naturale ben si sposava con il concept della performance, non così scontato era il coinvolgimento di ragazzi adolescenti come esecutori materiali dell’esibizione. Oltre l’evidenza simbolica del loro ruolo, in quanto rappresentano il futuro, viene da chiedersi se la loro inconsapevolezza naturale sia il vero monito di questa operazione, perché vittime sacrificali di un presente infinito, eredi di un mondo inquinato fisicamente e ideologicamente. Inconsapevolezza intesa, quindi, nella logica della loro età, ma anche nell’abitudine precoce ad una realtà sospesa e precaria dove lo spettro dell’omologazione, persino nell’Arte, resta in agguato: è questa la Fine del Mondo?

Vista nel suo insieme, la Parata della Fine ha mostrato l’efficacia di una partecipazione attiva del pubblico fruitore, traslando un momento folkloristico legato al territorio, in un’Opera d’arte collettiva anche esempio di Arte Relazionale di Bourriaud-iana memoria. La coreografia ben curata ed esaltata da un pomeriggio grigio e ventoso ha fornito visioni addirittura cinematografiche, tra una Danza Macabra ammiccante Bergman e un corteggio speculare ad un finale di Fellini: la performance di Andreco, intenzionale o no poco importa, come nella Settima Arte si è distinta per un tono corale e spontaneo declinando la spettacolarità a favore dell’interazione tra le persone coinvolte e l’ambiente cittadino e museale.

Una volontà di sintesi formale che sposa l’estetica dell’arte di Andreco, mirabilmente pertinente con la mostra inaugurale del Centro Pecci, suggerendo quasi un significato ai geodi e quarzi della stanza a metà del percorso, con la ricerca della curatrice Giada Pellicari, dedita da anni allo studio del Writing, culminante con la felice intuizione del carattere performativo dei writer, proponendo il graffito come una forma d’arte calligrafica: si evidenzia, pertanto, come la cifra stilistica dell’artista tocchi anche la dimensione registica dell’evento, ponendo la firma in maniera lineare e semplice, tanto da risultare sottilmente istruttivo proprio per quella generazione protagonista della performance. Concedere anche solo per 5 minuti di sognare è un atto rivoluzionario.

Andreco è nato a Roma nel 1978, vive tra Bologna e New York, è dottore di ricerca in Ingegneria Ambientale sulla sostenibilità urbana, ha condotto ricerche post dottorato sui benefici ambientali delle tecnologie verdi urbane in collaborazione con l’Università di Bologna e la Columbia University di New York. Dal 2000, parallelamente alla formazione scientifica, porta avanti la sua ricerca artistica. Negli ultimi anni le due ricerche, artistica e scientifica, si sono unite in un’unica ricerca multidisciplinare che ha come tema principale: il rapporto tra spazio urbano e paesaggio naturale e tra l’uomo e l’ambiente in tutte le sue declinazioni. I lavori prodotti da Andreco sintetizzano i concetti alla base delle sue ricerche in simboli, immagini che vanno a comporre il suo linguaggio visivo e concettuale. Andreco utilizza varie tecniche, dal disegno alla pittura, dalla scultura al video, che nelle esposizioni sono spesso combinate tra loro; realizza installazioni, performances, murales e progetti di arte pubblica a volte supportati da un percorso partecipativo.

 

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