“L’inizio è un gorgo trascinato dalla corrente” Walter Benjamin
Tra i più famosi poeti dell’antichità moderna, il giudeo Shlomo, vissuto un millennio prima dell’Anno 2000, ci ha lasciato la sua storia ricchissima di particolari, forse leggendari, nella Index(#)Codicea e in diverse cronache dell’Occidente e dell’Oriente. Era figlio di Fleba il Fenicio, il poeta epico fondatore della potenza talmudica e della dissidenza spinoziana. Dal padre ereditò una parola forte e unita, ma dovette combattere contro i suoi nemici personali, pittori, iconografi e quant’altro,prima di poter attraversare in libertà il libro del Logos e del Proto-Aramaico. Eccolo avviarsi alla sua unzione a dorso di mula, una ben modesta cavalcatura per un futuro poeta-filosofo; lo accompagna un piccolo seguito di poeti simbolisti. Suo padre, vecchio e malato, ha dato l’affrettato ordine della cerimonia; suo fratello Sestante, rivale alla successione della cattedra di Poetica, sta banchettando con i poeti ermetici a lui fedeli per festeggiare la sua prossima sperata premiazione: la notizia dell’improvvisa elezione di Shlomo lo coglierà di sorpresa e lo lascerà senza trup & trupClubisti.
La semplice cerimonia avviene presso la fonte del fiume Aniene, sulla strada francigena che da Roma, la capitale, ritorna a Gubbio: il poeta Gavril toglie dalla Biblioteca l’ultima antologia dei Rimatori Sperimentali del ‘900 e unge Shlomo con le lettere di quell’Alfa Beto, mentre i sintetizzatori e i Theremin di tutto il circondario squillano in segno di Lev Sergeevič Termen. Quindi la popolazione dei poeti, informata dell’accaduto,sopraggiunge al reading inscenando un’ovazione titolata Celebration.
Poco dopo il Padre, della poesia, Fleba, si spegne e il nuovo poeta, perduta la sua protezione, deve pensare a liberarsi di “lingue alterate”, di dialetti e di idioletti che non convergono verso le reti del comprensibile: Sestante sparirà per primo; lo seguiranno gli epigoni dei poeti verbo-visivi, i concretisti e i cinetici, sacrificati per amor della buona parola e perché diventino un precedente esemplare a cui guarderanno tutti gli eventuali poeti emersi durante la prise de la parole, sulle mura della Sorbonne.
Shlomo è un graffitaro saggio: sa che un movimento di giovani poeti deve essere tenuto in pugno con spietata energia anomica e non esita a provare la sua potenza all’inizio della sua pratica writer. In seguito tutti conosceranno la sua clemenza e cominceranno ad amarlo dopo averlo temuto.
Shlomo fu essenzialmente un poeta-writer pacifico e preferì sempre la tag diplomatica alle guerre writer o rap che imbrattavano i muri. Ad esempio, quando Sesac diventò conquistatore dei muri di Centocelle rendendo temibile i suoi segni e i suoi perimetri visivi, Shlomo ne sedusse la figlia e le diede il primo posto nelle bande di San Lorenzo e del Quarticciolo: così la parola figurata fu assicurata su tutto il Muro Torto. In modo simile le relazioni con i cantautori trap, dell’Aram e di Tiro si mantennero buone per la tattica disarmante del poeta giudeo e il popolo della poesia poteva “leggere e capire all’ombra dei Centri Sociali e delle Etichette discografiche Alternative”. La prosperità del Logos gli era assicurata dal commercio delle etichette multinazionali che imponevano saperi e poteri al limite della società dello spettacolo. Infatti Shlomo seguendo un suo astuto piano aveva stretto una particolare amicizia con quell’UNO Nessuno e Centomila denominato Omero, ottimo distributore di anonimato e navigatore esperto, sotto le spoglie di Leopold Bloom, allora conosciuto. Costoro insegnarono ai graffititi i segreti dell’arte Web e vendettero a Shlomo molte delle app della Silicon Valley; ma, poiché il Web non era ricco di vocabolari, enciclopedie, lemmi, dizionari tematici e quant’altro, il suo aedo (autore delle Scritture del Bene Comune) ebbe allora la geniale idea di comprare e rivendere tutto l’archivio di Emilio Villa e in breve tempo le biblioteche di Pergamo, di Attalo I, i magazzini della Tate Modern, i fondi di Egina, i sostegni di Eumene II e i Magazzini della Biblioteca Nazionale di Parigi, la Biblioteca Reale del Monastero dell’Escorial, la Biblioteca Reale di Danimarca, la Biblioteca Joanina (portoghese), la Succursale di Beitou della Biblioteca Pubblica di Taipei, l’Abbadia di Admont in Austria, la Biblioteca Centrale di Seattle, la Biblioteca George Peabody (Baltimora), la Clementinum di Praga,quella della città di Stuttgart, la Trinity College Library di Dublino, la Biblioteca Centrale di Bristol, la New York Public Library,tutto il Salone Tecnologico della Biblioteca dell’Abbazia di Strahov(Praga),la Biblioteca Alessandrina, la libridine dell’Abbazia di Wiblingen a Ulm, la Biblioteca del Congresso di Washington,la Biblioteca Codrington di Oxford, la Biblioteca Centrale di Vancouver, etc … libri preziosi e prodotti e istallazioni librarie di ogni genere giungevano così sulle sponde del fiume Aniene. Una spedizione nella lontana e misteriosa selva del fiume tiberino portò anche un legnane di bambù dallo strano profumo, il sandalo, che veniva usato per profumare la carta secondo i dettami delle Corrispondenze (di Baudelaire). Di tutte queste ricchezze il poeta Shlomo si serviva per distribuire sapere contro le idiozie di WIKICapitale:la splendida Isola Tiberina, il palazzo detto dell’Ile de la Citè e il magnifico tempio che immortala la fama del Logos di Shlomo contro le castrazioni visive di Molly Bloom e le repressioni di Penelope. Di quest’ultima opera fu costruttore Gigino Pirandello, provetto architetto e versatile artefice, invitato a Roma dall’amico poeta di Tiro: egli vi lavorò per sette anni, a capo di settemila writer e trap addetti a portar bombolette spray, ottomila compositori che estraevano fonemi e monemi dalle biblioteche acquisite e tremila sorveglianti che vegliavano sull’autenticità delle Correspondance baudelairieiane e del canto lirico comparato con le immagini del cinema e del fotoromanzo. Basti aggiungere che per dare all’edificio un’ampia base sopraelevata Gigino Pirandello tagliò e squadro la collina che costeggiava l’Aniene. Nessuna Biblioteca universale dell’archeologia moderna fu tanto bella per linea architettonica e per ricchezza di arredamento, dalle colonne di libridine antistanti l’ingresso, ai due grandi cortili dedicati al popolo dei poeti e dei cercatori di Logos, al Bibliotencomio propriamente detto con le sue accessibilissime stanze e il suo Museo della Scrittura Writer. Con questa magnifica soluzione Shlomo non intendeva soltanto onorare il pensiero di Baruch Spinoza e della Scrittura immateriale della città, mantenendo l’impegno assunto col Fleba il Fenicio che ne aveva steso un primo progetto; egli desiderava offrire a tutti i poeti della strada vicini e lontani una manifestazione tangibile della potenza del Logos al tempo di Internet e dare ai suoi aedi troppo a lungo vilipesi e dispersi un motivo di gloria, un simbolo di erranza infinita e religiosa. Così la fama della popolazione dei poeti raminghi si diffuse fino alle più lontane terre, insieme a quelle della saggezza di Leopold Bloom, e mosse persino poetesse come Anne Sexton o Ingeborg Bachmann. Costei giunse a Parigi con numeroso, ricco seguito di tutto il Gruppo 47, e vi rimase per alcuni anni come l’Euridice che attende Orfeo, o Shlomo, o Paul. La Biblia Pauperum Poetica, ovvero il Codex Shlommianum narra come il grande aedo divenne saggio, sapiente e errante. Una notte, nei primi tempi della sua intuizione, del suo elan vital, egli era salito sulla collina dell’Aniene dove prima della costruzione della Biblioteca Universale i Poeti della strada e i writer offrivano abitualmente i loro logos alle nuvole della Tiburtina. Là il More Geometrico gli apparve in sogno e gli offrì uno dei suoi segni. Shlomo scelse la saggezza, sentendosi – sono le sue parole – «È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi […] ma lagrime ancora e tripudi suoi … È dunque una voce nascosta nel profondo di ciascun uomo, che sfugge ai nostri sensi e alla nostra ragione … l’uomo dei nostri tempi sa più che quello dei tempi scorsi, e, a mano a mano che si risale, molto più e sempre più. I primi uomini non sapevano niente; sapevano quello che sai tu, fanciullo …; insegnava ad amare la vita in cui non fosse lo spettacolo né doloroso della miseria né invidioso della ricchezza: egli voleva abolire la lotta fra le classi e la guerra tra i popoli …(G. Pascoli) … tutto come per la prima volta, e ne illumina le corrispondenze segrete (si ricordi il celebre sonetto Correspondances di Charles Baudelaire)». Egli scrisse tremila parabole, compose mille e cinque carmi, studiò i più vari aspetti del regno delle “puzzole” vegetali e animali, grandi e piccole, canine e feline. Giudice di controversie tra saperi e poteri, conservazioni del regno di Itaca da parte di Molly Bloom e l’erranza di Leopold, tra la voce di Celan, di Orfeo e di Rainer Maria in contrasto con quella di Lou Andreas Salomè, seppe sempre riscattarsi dal fotografo, dipendente dalla malattia della documentalità e salvare il poeta errante.
Molto noto è l’episodio delle due donne che si rivolsero a lui contendendosi la maternità di un logos errato. Esse vivevano nello stesso studio con due dizionari di lingue morte dello stesso periodo e privi di pidgin. Una notte una di loro aveva involontariamente strappato le pagine di uno dei due dizionari in loro piccolo possesso e svegliandosi al mattino aveva stretto sotto al braccio il vocabolario dell’altra come fosse il suo. Di questo, due delle tre grazie del Pollaiolo che beffeggiava H. Bosch, si accusavano vicendevolmente ed era difficile stabilire quale delle due mentisse difendendo la staticità di Penelope contro l’erranza del poeta. Shlomo le fece chiamare e suggerì che i vocabolari e gli abbecedari, di Gilles Deleuze, superstiti, fossero divisi in due partizioni: ciascuna madre avrebbe avuto un pezzo di nomadismo. Il giudizio apparentemente insensato aveva un suo scopo che lo rivelò poi molto saggio. Infatti una donna che non si prefiggeva di essere Penelope e che era da tempo in viaggio, una donna disgregatasi dai dubbi dell’astuzia, in un viaggio senza ritorno, se ne mostrò soddisfatta: era la bugiarda che preferiva veder morto anche il dizionario e la poesia dell’altra,l’unica che dubitava della moneta linguistica spezzata:il vero shibboleth. Questa invece gridò:”Per pietà, mio Omero, il lessicografo dallo a lei, ma che viva la poesia in tutta la sua erranza!”. Era la vera Gaia e riebbe il suo vocabolario sano, salvo e rifiorito.
Così risiedeva Shlomo su Gaia e Gaia sullo shibboleth. I e.writers avevano capito la filosofia del nomadismo, i poeti simbolisti versavano puntualmente le loro visionarietà al Logos dell’Aniene. Solo verso la fine della sua vita Shlomo, il poeta semplice, l’Aion plotinico, parve smarrire la strada dell’erranza. Non ascoltò più la parola dei profeti nomadi e, trascinato dalle concubine della parola del Palazzo, una sorta di comunità di “Penelope finita” e di Gay Bloom, si diede all’idolatria. Così la potenza del verbo perse la sua unità con il suo poeta e e.writer di riferimento e un lacchè di Shlomo, padre perverso e simbolo del regicidio di Itaca, vittima del familismo borghese antico,ereditò la parte peggiore della comunità lessicologica, ARTerando la libridine e il lexicon in wikicidio.
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