In occasione del 50° anniversario dell’alluvione, Firenze ricorda gli sconvolgenti eventi del ’66 attraverso una mostra preziosa ed affascinante: Alfabeti Sommersi. Emilio Isgrò e Anselm Kiefer a cura di Marco Bazzini e Sergio Risaliti. Ospitata nella Sala d’Arme a Palazzo Vecchio, la mostra è promossa dal Comune di Firenze ed organizzata da Mus.e in prestigiosa collaborazione con Galleria Lia Rumma e Galleria Tornabuoni Arte.
Lo straripamento del fiume Arno in quell’ormai lontano 4 Novembre causò vittime e con la sua forza rovinosa travolse opere d’incommensurabile valore artistico: affreschi, dipinti, marmi, arredi lignei, tessuti. E libri. I cento e cento volumi, custoditi nella Biblioteca Nazionale Centrale e nelle altre biblioteche storiche della città, insozzati di limo e destinati a portare le indelebili stigmate del disastro sono stati parzialmente recuperati grazie al generoso e salvifico intervento degli “angeli del fango” tra i quali spicca un ancor giovanissimo Isgrò. Come spiega Risaliti: “Due sono, da quel giorno fatidico, i simboli, o meglio le icone universalmente riconosciute: il Crocifisso di Cimabue –irrimediabilmente sfregiato nella basilica di Santa Croce il 4 Novembre 1966 quando l’Arno invase la chiesa, il cenacolo e sommerse la piazza – e il “libro” , l’altro oggetto del patrimonio artistico, assurto da quel momento a simbolo dell’alluvione fiorentina. Al libro e al dipinto di Cimabue si legano i temi della memoria, quello della sofferenza terrena e della fragilità della bellezza, della distruzione del patrimonio artistico, assieme ai temi della rinascita e della cura, del restauro e della resilienza”.
Nessuna meraviglia pertanto che Alfabeti Sommersi presenti la pregevolissima opera di due dei maggiori artisti dei nostri tempi che hanno fatto del libro il topos della propria poetica.
In questa significativa celebrazione Emilio Isgrò presenta in anteprima il “Prologo del Vasari”, nuovo ciclo monumentale delle sue ormai iconiche cancellature. Il messinese si è abbeverato sin da giovanissimo alle fonti di Nietzsche, Pirandello, Brecht, Garcia Lorca, Joyce: la parola ed il libro sono dunque consustanziali per Isgrò che da sempre affianca la sua attività di poeta cancellatore a quella di poeta lineare. Taches di colore nero e pause verbali si compenetrano in un ductus che possiede la sorprendente forza di una rivelazione gestaltica. Scrive Bazzini: “Sulle pagine del libro si sprigiona una nuova energia e anche il rapporto equivalente tra immagine e parola che fonda le nuove esperienze poetico-visuali non perde forza; è un matrimonio che si rinnova di volta in volta perché a essere investita dalla china , se non sottratta, è anche l’immagine. In questo modo Isgrò arriva ad atmosfere pittoriche, alla piacevolezza delle pennellate su un fondo –siano pagine, illustrazioni o fotografie- senza cedere mai pienamente alla pittura, almeno così come viene comunemente intesa. E il libro si fa quadro, è appeso alla parete; un’opera da ammirare nella sua piena composizione”.
Insieme ad Isgrò, in raffinatissimo dialogo, le opere di Kiefer: cosmogonie che di certo costituiscono uno dei raggiungimenti di maggiore lirismo della contemporaneità. Ancora una volta il libro s’afferma come lievito estetico e noetico e si sublima nell’intuizione di un’arcaica sapientia. Col tedesco, il fare pittorico diviene opus e s’invera nei celebri libri di piombo. Paradigmatiche a tal proposito le parole di Michele Bonuomo: “Lungo questa strada di oscure trasformazioni alchemiche, che mettono in discussione le superbe certezze della scienza, quelli di Kiefer si propongono come libri sapienzali che parlano di una nuova sacralità della pittura; che trattano di un concetto del sacro strutturato attraverso riferimenti storici o letterari e, allo stesso tempo, di manipolazione della forma. Libri pesanti e pensanti che usano parole e segni tra di loro intercambiabili perché insieme ridefiniscono il rapporto tra individuo e cosmo, riaffermano la forza della natura, stigmazzina gli errori e gli orrori della storia e riallacciano un dialogo interrotto tra divino e terreno”.
Alfabeti Sommersi si pregia altresì di un inedito docufilm di Beppe Fantacci che racconta con capziosià le giornate dell’esondazione dell’Arno. Lo spazio monumentale della Sala d’Arme viene saturato delle drammatiche immagini a colori e della commovente melodia che ad esse si accompagna generando nel fruitore l’ineffabile sensazione di immersione nell’opera d’arte totale.
Fino al 13 Novembre 2016