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Il “super vittimismo” di Madrid

È appena terminato l’appuntamento annuale con la fiera di arte contemporanea di Madrid, Arco 2018, che quest’anno si è contraddistinta per la presenza di molte opere pittoriche, la scarsa presenza di sculture e la -quasi- assenza di installazioni.

L’impressione generale è che le gallerie abbiano puntato più su un pubblico di collezionisti e di possibili compratori, che sulla possibilità di mostrare, a volte anche rischiando, uno spettro più ampio della ricerca artistica contemporanea. E, evidentemente, questa scelta ha dato loro ragione, dato che quest’anno la fiera ha registrato un alto numero di vendite, di molto superiore alla crisi che la avevano caratterizzata negli anni precedenti.

In ogni caso, dal punto di vista qualitativo, registriamo una proposta complessiva piuttosto neutrale, spezzata dallo scandalo, all’apertura della fiera, del ritiro dell’opera di Santiago Sierra e dalla interessante presenza di gallerie brasiliane a cui diamo simbolicamente il premio per le migliori proposte.

Nonostante la scarsa presenza di artiste donne, è stata, infatti, una piacevole sorpresa incontrare i lavori di artiste che hanno dato una svolta formale veramente stimolante nell’ambito del neo concretismo brasiliano. Per i veri appassionati di questa ricerca, che si è sviluppata in Brasile a partire dagli anni ’50, è stata quindi una vera boccata d’aria incontrare i lavori originali di Lygia Clark e Lygia Pape. Progetti molto lontani da quella attitudine spettacolarizzante e spesso puerile che caratterizza il contemporaneo o, sarebbe meglio dire, il post moderno.

Dall’altro lato, nell’ambito delle nuove proposte, una menzione speciale va al lavoro dell’artista brasiliana Marina Weffort. In primis abbiamo accolto con sollievo l’aspetto “pulito” dello stand della galleria Cavalo, di Rio de Janeiro, che accoglieva le sue opere, che ha avuto il pregio di lasciare spazio e respiro ai lavori proposti; stand che in seguito ha vinto anche il “Premio Opening” di Arco 2018. Le opere della Weffort seguono quella linea formale discreta, sottile e accattivante dell’eredità neoconcreta e si inseriscono nella frontiera fra installazione e quadro.

Si tratta di una serie di composizioni più o meno geometriche costituite da dei fili sottilissimi che entrano immediatamente in relazione i corpi dei visitatori. Il ben che minimo movimento d’aria, infatti, entra in relazione con l’opera, animando una vibrazione e creando un gioco quasi impercettibile della composizione. Siamo stati infine contenti di ritrovare anche quest’anno l’artista basco Alain Urrutia, che ha presentato una serie di “pitture orfane”/”Orphan Paintings” che, riaffermando una certa tradizione italiana del piccolo formato, non cercano nessun altro riferimento che non sia quello dell’immagine in se stessa. E, per concludere, non poteva mancare la linea critica del collettivo spagnolo Democracia che, attraverso la scritta scolpita “Supervictima” (super vittima), intende mettere lo spettatore di fronte al suo attuale status di individuo nella società contemporanea: una sorta di rovescio dell’ormai meno appetibile ruolo di super eroe.

Laura Cazzaniga

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