Fino all’8 gennaio sull’Isola di Mozia è stato possibile percorrere e inoltrarsi in stretti passaggi labirintici, formati da enormi cubi colorati. Si tratta dell’installazione “site specific” dell’artista Maria Cristina Finucci dal titolo Help e promossa dalla fondazione Terzo Pilastro – Italia e mediterraneo in collaborazione con la Fondazione Whitaker, realizzata con circa cinque milioni di tappi di plastica colorati e usati, racchiusi in gabbioni metallici.
L’uomo ha conosciuto per cinquecentomila anni la fame, il freddo, la violenza.
Questa è la prima generazione umana che non conosce alimenti genuini e il mare pulito.
Francesco Burdin
Questi passaggi in realtà sono ben altro, tracciano sul terreno delle grandi lettere tridimensionali, alte fino a 4 metri ciascuna per una totale estensione di circa 1.500 metri quadrati. Celano una sorpresa, soltanto viste dall’alto compongono la metaforica parola “Help” che dà il nome all’installazione. Proprio come le storiche e misteriose “LINEE di Nazca”, l’opera della Finucci si legge dall’alto e all’alto protende, chiede il suo aiuto disperato ad un Dio che vede “solo dall’alto” e non risponde. Costruendo un’Isola di plastica sull’Isola di Mozia, che purtroppo di plastica è circondata, la Finucci continua la sua opera di denuncia al distruttivo fenomeno di inquinamento ambientale causato dalla plastica, in particolar modo da quella dispersa in mare, che prende il nome di Garbage Patch. Il “Garbage Patch State”, esiste, è un vero Stato Nazionale della plastica creato dalla Finucci, si inserisce nell’ambito del progetto Wasteland avviato nel 2013 e da allora si è esteso parallelamente all’aggravarsi della situazione nella quale versiamo. Era il 1922 quando Eliot scrisse la sua “The Waste Land” (La terra desolata), poema al quale il progetto della Finucci fa riferimento, descrivendo la sua visione di desolazione e di aridità spirituale dell’uomo. Oggi l’uomo non solo è arido e desolato spiritualmente, sempre più triste e abbandonato, ma non “vede” e maltratta se stesso e la sua terra che lo ha generato. Le campagne di sensibilizzazione ambientale sono in atto da tempo, si dovrebbero attuare quelle di “sensibilizzazione dell’uomo” e l’arte è sempre più sensibile a tale mancanza. Nel 2013 la Finucci è stata presente alla Biennale di Venezia nella sede dell’Università Cà Foscari, con la sua installazione di tappi di plastica usata e colorata, racchiusi da rete rossa, a formare un “serpentone invadente”. L’ateneo è, infatti, un punto di riferimento a livello universitario per quanto concerne le politiche ambientali e riconosciuta come università sostenibile. Installazioni ecologiste, realizzati con scarti di plastica sono anche quelle di Enrica Borghi, i suoi abiti da Cenerentola creati con 20.000 bottiglie di plastica, con un immenso strascico, il “serpentone” che ritorna e invade lo spazio. Ideati come “invasori”, queste opere desiderano dominare il nostro spazio e assumere una presenza fisica imponente per farsi notare a tutti i costi. Gli scarti della nostra società diventano elementi costitutivi di un’opera dove l’aspetto estetico, nella Borghi, tende ad essere conservato ed enfatizzato. Il risultato è estremamente decorativo. Nei lavori della Finucci, invece, predomina la componente simbolica. Componente simbolica, messaggio forte e potente, di denuncia sociale si trovano anche nelle opere di Romuald Hazoumè, l’artista beniniano conosciuto per le sue maschere realizzate con taniche di plastica e capelli finti. Chiara allusione alle maschere tradizionali tanto care ai musei e ai collezionisti occidentali, fatte con gli avanzi del nostro mondo. Perché, come afferma lo stesso Hazoumé: “La mia arte è un modo di ridarvi le vostre immondizie”. Rabbia, tristezza in Hazoumé, disperazione e coraggio nella Finucci che sull’Isola fenicia ha costruito le sue mura e invocato aiuto non privo di speranza.
Gianna Panicola