Byung-Chul Han mette in esergo al suo testo una bella frase di Peter Handke: “Io vivo di ciò che gli altri ignorano di me”.
Architetture ermetiche di vetro, miniature lignee di omini-cimice in cui l’artista ha inserito ultimamente delle piume – per dare respiro, dice –, assemblaggio per installazioni secondo un movimento verticale, realizzate da moduli diversi per tipologia e dimensione, dalla componente estetica molto potente.
Quello della trasparenza è per Claudia Maina un copione interpretativo.
La riduzione di ciò che sono a ciò che di me si vede è uno degli aspetti più sconvolgenti di questo principio di trasparenza adottato nella sua ricerca e presente in tutti i suoi lavori. Soggetto e oggetto allo stesso tempo, le sue rappresentazioni sono come tante Wunderkammer stranianti, con rimandi potenti agli ex-voto nelle campane di vetro.
Come un’analista, stringe il campo chiedendo attenzione e vicinanza, riducendo la visione da grande piazza a finestra del fantasma e, oltre la sua opacità, l’oscuro, che è non-visibile ma reale.
La trasparenza, l’estroflessione integrale del dentro in un fuori espositivo, rappresenta per la Maina il mezzo privilegiato di questo processo di espropriazione intima di ogni specificità, di ogni alterità, di ogni negativo. In nome della trasparenza, ogni privatezza, il proprio spazio intimo di riservatezza, pudore e dignità assume in questa maniera un livellamento formale, una uniformazione omologatrice che è l’analogo stesso della trasparenza. L’uomo diventa un elemento funzionale del sistema.
Il vetro[1], scelto dall’artista come medium materico, serve a costruire pareti senza pareti, muri senza muri, solidi e volumi che danno l’impressione di non essere tali, dove il mito della trasparenza architettonica risulta dunque nel concetto di pura visibilità, l’idea che ciò che è trasparente non offre alcuna barriera allo sguardo. All’illusione di contiguità e illimitatezza si accompagnano due fenomeni particolarmente significativi: la tendenza alla smaterializzazione e l’imperativo della levigatezza, entrambi legati alle caratteristiche fisiche del vetro e, in generale, della maggior parte dei materiali trasparenti. Ogni lastra, ogni parete diafana, lasciando trapelare la luce, crea un’illusione di immaterialità, un effetto di incorporeità; parimenti, la sua natura di lastra, di parete, la rende liscia al tatto, piana e uniforme, priva di asperità e increspature… Ci si accorge così che gli ultimi centocinquanta anni dell’Occidente sono stati segnati da profonde, persistenti e spesso interdipendenti contraddizioni, ovvero che la nostra è un’epoca bipolare. Trasparenza e verità non sono identiche; e non è nemmeno vero che il panottico, ossia la struttura del controllo in cui siamo immersi, sia a-prospettico, cioè privo di un centro e fatto solamente del controllo diffuso, della sousveillance immaginata da Brin (David Brin, The Crystal Spheres, 1984; The Transparent Society, 1998).
Quello che l’arte di Claudia Maina porta alla superficie e rende trasparente è il problema della trasmissione del senso dell’impossibile passaggio dal fruitore all’artista. Il paradosso della trasparenza, visibile in tutta la produzione dell’artista, è nella costruzione di una cinematica idealizzata dotata della virtù di non mostrare altro che l’assenza.
Converte il soggetto in un oggetto di scambio, sotto l’ombra opaca del godimento dell’Altro, disseminato ora in un’ubiquità virtuale.
Interrogare l’idea stessa di “visione” che la trasparenza vorrebbe sostenere. Cosa si tratta di vedere, cosa si vuole vedere?
Cosa c’è di reale in gioco?
Solo forme sospese e stranianti come fantasmi; omini-cimice ormai alieni.
Come fare perché l’ideale della trasparenza non si trasformi per l’uomo contemporaneo nell’incubo persecutorio contemporaneo, come quello prefigurato nella realizzazione del Panopticon di Bentham come principio di controllo sociale, dove l’Altro vede tutto senza essere visto?
Byung-Chul Han, nel saggio Transparenzgesellschaft (La società della trasparenza), individua nell’ossessione delle società liberali per la trasparenza una potente forza omeostatica, “una coercizione sistemica che coinvolge tutti i processi sociali e li sottopone a una profonda mutazione”.
Il progetto espositivo “Vedute multiple” di Claudia Maina è nato da un incontro aperto, vero e proprio brainstorming di idee, tra l’artista, lo studio Lombard DCA e la galleria AMY D Arte Spazio.
06 marzo 2018
[1] Come ricordava uno dei maggiori architetti italiani del Novecento, Vittorio Gregotti, il vetro “non è un’assenza, è comunque materia. Non è di per sé trasparente, lo si può programmare” per creare un continuum spaziale apparentemente unico.
Claudia Maina
Trasparenza: fantasma e materia
di Anna d’Ambrosio
Data e Ora
10/04/2018 / 19:00 - 22:30
Luogo
Studio Lombard dca